NONHOSONNO di Dario Argento (2000)
Il cast tecnico: Regia: Dario Argento. Sceneggiatura:
D. Argento, Franco Ferrini, con la collaborazione
di Carlo Lucarelli. Direttore della fotografia:
Ronnie Taylor. Montaggio: Anna Napoli. Scenografia:
Antonello Geleng. Musica: Goblin. Produzione:
Medusa. Distribuzione: Medusa Film. Origine:
Italia. Durata: 1 h e 57'
Gli interpreti: Max Von Sydow (Ulisse Moretti),
Stefano Dionisi (Giacomo), Chiara Caselli
(Gloria), Rossella Falk (Laura De Fabritiis),
Paolo Maria Scalondro (commissario Manni),
Roberto Zibretti (Lorenzo), Gabriele Lavia
(avvocato Betti).
La trama: l'omicidio di due prostitute conduce
le indagini del commissario Manni a un nano,
uno scrittore di gialli che 1 6 anni prima
era stato sospettato di atroci delitti e
poi ritrovato morto. l'unico che può ricostruire
con precisione i fatti è l'ex commissario
Moretti, all'epoca incaricato delle indagini.
Con l'aiuto di Giacomo che aveva 13 anni
quando sua madre venne ucciso davanti ai
suoi occhi, Moretti si mette sulle tracce
di un serial killer che uccide seguendo una
macabra filastrocca.
Il regista: Nato a Roma nel 1940, Dario Argento
ha esordito come cosceneggiatore di C'era
una volta il West (1 968). Nel 1970 ha realizzato
il suo primo film come regista, L'uccello
dalle piume di cristallo, seguito nel 1971
da Il gatto a nove code e Quattro mosche
di velluto grigio. Ha diretto 15 film tra
cui Profondo rosso (1 975), Suspiria (1977),
Inferno (1980), Tenebre (1983), Phenomena
(1 98,4), La sindrome di Stendhal (1996).
Nonhosonno è il quarto film di Dario Argento
Torino. Per la prima volta il regista non
utilizza le proprie mani sulle scene degli
omicidi. La sanguinaria filastrocca che l'assassino
usa per i suoi omicidi è stata scritta da
sua figlia Asia Argento.
PROFONDO GIALLO
FACCIA A FACCIA
FRA DARIO ARGENTO E CARLO LUCARELLI
Un regista maestro di suspense. Un autore
di thriller.
Insieme per un film, "Nonhosonno",
che promette adrenalina e incubi. Due cultori
del brivido sì confrontano sulla comune passione:
il lato oscuro della psiche umana. Scoprendo
qual è il volto moderno del terrore.
Ho conosciuto Dario Argento in un modo strano,
come si addice a lui e, penso, un po' anche
a me. Ero a Bolzano, per una trasmissione
televisiva che si occupava di delitti irrisolti,
ero stato ore al gelo sul luogo di un omicidio
ed ero tornato in albergo con la febbre.
Ero a letto, tra deliri di brividi freddi
e morti ammazzati, quando il cellulare che
avevo dimenticato acceso si mette a suonare
e sento una voce che dice: "Pronto?
Sono Dario Argento". Ho pensato: "Accidenti,
devo avere proprio la febbre". Invece
no, era lui davvero, che mi chiedeva di collaborare
al film che stava scrivendo con Franco Ferrini.
Una consulenza da giallista, da tecnico dei
meccanismi del giallo e della polizia. Perché
Non ho sonno è anche questo, un giallo, un
vero e proprio "wodunit", un "chi
è stato" in cui un vecchio poliziotto
in pensione e il figlio di una delle vittime
si chiedono chi abbia ricominciato a uccidere
secondo una filastrocca agghiacciante. Ma
non solo: è soprattutto un film di Dario
Argento, con la sua capacità di tenere in
tensione, raccontare, scuotere, far saltare
sulla sedia e anche voltare la testa quando
qualcuno ammazza un'altra persona nel più
brutale e fantasioso dei modi. Un film come
Profondo rosso dopo altri diversi, più horror
e più metafisici.
Perché questo ritorno al giallo? Ma poi,
è davvero un ritorno?
Ai ritorni veri e propri non credo mai. Penso
che si continui a cambiare, come metodo,
come stile, come impostazione della storia.
Cambia la tecnologia, è cambiato il cinema,
sono cambiati i nostri sentimenti nei confronti
del mondo. Però, con questo film è stato
come tornare a casa. Avevo voglia di tornare
agli inizi della mia carriera, raccontare
i gialli che mi davano soddisfazione. Prima
di scrivere il film ho fatto una full immersíon
nel giallo dagli anni trenta fino a quello
più recente.
"Non ho sonno", infatti, ha dentro
una serie di scrittori come Agatha Christie
ed Ellery Queen, ma soprattutto ha un grande
come Cornell Woolrich, che sapeva unire le
ansie razionali del giallo classico alle
inquietudini più moderne e noir. In questo
film c'è qualcuno che uccide riprendendo
la serie dei delitti commessi da un nano
che avevano sconvolto la città molti anni
prima. C'è una delle figure più usate e abusate
dal cinema e dalla letteratura thriller di
tutti i tempi: il serial killer. A te cosa
evoca questa figura?
A me interessa molto. Adesso è di moda e
non viene raccontata bene. La maggior parte
del cinema americano fa vedere il serial
killer come un indiano scappato, dalla riserva,
braccato da tutti finché non lo beccano e
lo uccidono. Invece è un personaggio che
esprime un disagio molto più forte, un tarlo
molto più profondo gli ha bucato quel cervello.
Il serial killer è l'antiumano, è la metà
oscura dell'uomo.
Ecco, la metà oscura... a ogni presentazione
di libri che faccio, C'è sempre una signora
nel pubblico che si alla e mi chiede: ma
perché uno come lei, così a modo e così per
bene, scrive certe cose? Lo chiedo io a te...
perché raccontiamo storie così?
Perché abbiamo una naturale tendenza a queste
tematiche, che si può essere liberata ancora
di più con letture infantili o con film che
hanno colpito l'immaginazione anche da molto
piccoli. Mi ricordo che mio padre e mia madre
mi portarono a teatro, da bambino, a vedere
l'Amleto, e ricordo che alla scena del teschio
rimasi colpitissimo. Nella biblioteca di
mio padre poi trovai i racconti di Edgar
Allan Poe. Non solo, penso dì essere una
persona privilegiata perché parlo con la
mia metà oscura: quando racconti i pensieri
d'un assassino, salti dentro la sua anima
e sei lui, Con grande dolore e con grande
fatica.
Quale metà oscura ti ha fatto più male?
Per certi aspetti, l'assassino di Opera,
il mio film dell'87. E anche quello della
Sindrome di Stendhal mi ha dato molto fastidio.
E "Non ho sonno?
Nel film chi uccide è una persona che mi
è simpatica e quindi non ho fatto fatica
a entrare nella sua psiche, nonostante sia
estremamente violenta e sterminatrice, Ma
è anche bizzarra, non mi ha fatto soffrire
molto.
A te cosa succede quando hai finito di raccontare
una storia: i personaggi ti restano dentro
o è stata una catarsi e finito il film se
ne vanno?
Restano dentro. Infatti non riesco a giudicare
un mio film appena terminato. Dopo riesco
a vederlo come se l'avesse girato un altro.
E allora succede questa stranezza: una specie
di schizofrenia, Dario Argento c'è e non
c'è. E' un essere mitico fuori da me che
non conosco molto bene, una seconda personalità
molto ingombrante che a volte mi è vicina,
a volte no. Mi capita di immaginare certe
scene, le giro e poi mi dico. "Ma come
diavolo gli è venuta in mente a Dario Argento
questa cosa qui?"
Ossessioni e paure: se ne vanno quando uno
le racconta?
Non se ne vanno. Anche perché non so da dove
vengono.
C'è più orrore nella realtà o nei tuoi film?
Nella realtà. C'è un orrore che nei film
non si riesce neanche a raccontare. Non racconto
la realtà, ma la mia psiche, i miei sogni...
cose immaginate che con la realtà non hanno
niente a che fare.
C'è una storia che non sei riuscito a raccontare?
Quasi. Avevo una storia in mente, mi ritirai
un paio di mesi e la scrissi. Si chiamava
Oltre la Morte ed era così orribile che quando
la portai a Dino De Laurentiis lui mi disse
che non la voleva fare. Non toccava neanche
il copione col dito, solo con la matita.
Poi la sceneggiatura è andata perduta e io
non me la ricordo più. Era ispirata a Howard
P. Lovecraft, ambientata tra i vagabondi
di New York.
Sembra già un film, il copione maledetto
che non si trova più. Senti, appena uscì
"Profondo rosso" andai a vederlo
con i miei. A casa, poi, eravamo tutti terrorizzati,
ma mia madre era quella che faceva la dura
e diceva: tanto è tutto pomodoro, ma quando
mio fratello mise su il 45 giri della colonna
sonora lei, dalla cucina, si mise a urlare.
La musica nei tuoi film è sempre stata importantissima.
Qui ci sono di nuovo i Goblins, come allora...
Conoscono molto bene il mio cinema e tante
cose di me. Sono persone che stimo e che
ho sempre frequentato. Loro si sciolsero
nei primi anni Ottanta: li ho rintracciati,
costretti a fare la pace, almeno per questo
film, ed è stata una buona cosa. E poi ci
sono anche i Mau Mau, Il Lago dei Cigni.
La musica è una chiave: racconta personaggi
e luoghi.
I luoghi… uno dei pregi del thriller è quello
di saper raccontare le città. Qui c'è una
bellissima Torino, molto particolare.
In Non ho sonno interessanti sono i luoghi
segreti di Torino, non i grandi viali parigini
o le grandi piazze, ma il fatto che tu stai
in una strada un po' antica con portoni di
legno scolpito, suoni, entri e scopri un
mondo che da fuori non riesci neanche a immaginare:
giardini interni meravigliosi con vetrate
Art déco, scale in marmo, atri stranissimi...
la Torino segreta è molto interessante.
L'ultima cosa: un editore mi ha insegnato
che ogni libro che scrivi deve essere più
bello del precedente. Questo è il tuo film
più bello?
Penso di sì. E' il più interessante, il più
completo. Anche il più maturo. Ecco, guarda,
finalmente sono diventato adulto.
Intervista a Dario Argento: Il nuovo Argento
tende al giallo
A cura di Claudio Lugi per GossipNews.it
Intervista a seguito della proiezione dell'anteprima
di "Non ho sonno" di Dario Argento
al cinema Fiamma.
Quando la sala s’illumina e qualche applauso
rompe lo stordimento dell’epilogo, il regista
romano è già al suo posto: raggiante, impaziente,
come qualcuno che sta per togliersi un sassolino
dalle scarpe. Saluta cordiale e precede qualsiasi
domanda con piglio deciso, ma senza prepotenza:
si capisce che ha l’aria di chi è convinto
di aver fatto centro. Ci sono pure i Goblin,
autori delle musiche, pigramente accoccolati
sulle poltrone in fondo alla sala...
- Voglio innanzitutto chiedervi di non svelare
il finale nei vostri pezzi, vi prego: ci
ho messo una tale cura - esordisce il regista.
"Lo devo dire, in questi anni la critica
mi ha parecchio maltrattato e il fatto che
il film sia piaciuto molto mi rende soddisfatto,
ma non mi risarcisce; lo ripeto, questo ritorno
al giallo mi ha dato già molte soddisfazioni,
ma non cancella le aspre critiche rivolte
al mio cinema. Anche per questo la prima
assoluta è stata a Parigi.
Anche da noi però alcuni “aficionados” non
hanno smesso di apprezzare le tue opere…
Ma veniamo a Non ho sonno. I titoli di coda
in questo, come nei tuoi ultimi film si sovrappongono
alle immagini conclusive. Come mai?
Non mi va di lasciare il film, non riesco
ad abbandonare le immagini, per questo, quando
ancora continuano a scorrere ho inserito
i titoli. E poi guardate i film americani
in tivù: ci propinano dieci minuti di minuscoli
caratteri su sfondo nero. Che noia mortale!
E l’uso qua e là della camera che traballa?
Ho ripreso la mia vecchia macchina da presa
in mano, ma l’ho usata poco. Ho filmato in
varie sequenze la nuca dell’assassino. Per
dire che il male alberga nella mente di quell’individuo.
Quali furono le fiabe sanguinarie della tua
infanzia?
C’è Grimm, quelle popolari italiane raccontate
a voce, ma vedete, io racconto un’infanzia
terribile nonostante la mia sia stata tranquilla.
Da bambino ero un po’ introverso e a scuola
andavo bene. Genitori ottimi. Le storie le
narrava mia zia, forse le inventava, e poi
mi affascinavano i racconti di Poe. Forse
è questo il lato oscuro della nostra infanzia.
Peraltro ho spesso avuto forti impennate
morali rispetto ai numerosissimi casi psichici
esaminati e nonostante tutto c’è una parte
di me che è fortemente interessata a tutto
questo...
Oggi, secondo te, i giovani hanno un rapporto
visivo con la morte e il sangue differente
dal nostro? E la paura è ancora quella d’un
tempo?
Nulla a mio parere è mutato rispetto a ieri;
L’esorcista oggi ha lo stesso successo. Certo
è cambiata la tecnologia, la forza delle
comunicazioni, ma per il resto niente di
nuovo, il modo di sentire è rimasto invariato.
Pensate che gli squartamenti e i cervelli
spappolati venivano già abilmente descritti
nei romanzi degli anni ’30!
Il teatro, le ville, gli animali…e Torino?
Non rischiano di passare per immagini un
po’ troppo stereotipate?
E’ vero si ripetono sempre, non so perché.
L’anteprima italiana era destinata a Torino
per una sorta di debito personale, un ringraziamento
alla città misteriosa, segreta, appartata,
dei giardini abbandonati o delle vecchie
case. Girando per la città si possono scoprire
angoli incantevoli: all’interno dei cortili
si nascondono bellissimi giardini, ampie
finestre liberty e curiose scale interne
in marmo…
Quale è stato l’apporto del “giallista” Lucarelli?
Lucarelli è arrivato alle ultime stesure
della sceneggiatura ma ha avuto un’idea decisiva
per l’intreccio che non vi dico. Inoltre
Carlo ha portato un certo contributo di esperienza
sul mondo della polizia. Nel film risalta
molto il contrasto tra le indagini svolte
ieri e quelle di oggi, più razionali, tecnologiche,
informatizzate.
Notevole il piano-sequenza sul tappeto del
teatro…
L’idea m’è venuta una notte, a 15 giorni
dalla fine delle riprese e l’ho portata avanti
contro le difficoltà tecniche di ripresa
e contro il parere di tutti, direttore della
fotografia compreso. L’ultimo giorno l’abbiamo
girata 7 o 8 volte e abbiamo scelto quella
che avete visto. E’ un po’un marchio di fabbrica,
come Hitchcock che appare di sfuggita in
un suo film.
Oggi sei l’unico superstite del genere horror
in Italia. Perché il ritorno al giallo?
Dopo la trilogia degli anni ’70 e i successi
degli ’80, ci sono state continue imitazioni
con frequenti cadute di tono che mi hanno
infastidito; così ho pensato di fermarmi.
Adesso posso riprendere a divertirmi, un
po’ come quando ho vissuto sei anni negli
USA e poi sono tornato a casa. E questo è
il primo episodio di una trilogia di gialli.
Spero che il pubblico gradisca e riprenda
il filone e gli spazi di questo genere; del
resto l’80% di corti italiani girati oggi
sono gialli o horror.
E i Goblin sono tornati insieme per l’occasione.
Circa dieci mesi fa ho sentito Simonetti
che mi comunicava la riunificazione del gruppo.
Li ho invitati a collaborare al film e dopo
2 o 3 mesi le musiche erano pronte. Originali,
sofisticate, specie quelle dei titoli di
testa, diverse da quelle di Profondo rosso.
Ritorniamo al film. Come nasce la filastrocca?
L’ha scritta Asia. Un classico del giallo:
dolce e crudele.
Parlaci degli attori, di Von Sidow. E di
Lavia e la Falk. Non sono un po’ troppo teatrali?
Ho “ramazzato” tutti i ragazzi di Torino.
C’è tanto teatro in questo film e in tutti
i miei precedenti ci sono attori di teatro.
Non c’è differenza, anzi da lì vengono gli
attori: manteniamolo ‘sto teatro! Oltre a
Lavia e alla Falk, un bravo va a Roberto
Zibetti. Max Von Sidow è un ottimo professionista,
discreto, un uomo che non racconta le sue
esperienze. Ha una statura notevole, che
rassicura. Curiosamente, con la riproposizione
de L’esorcista abbiamo ammirato l’attore
svedese truccato da apparire addirittura
più vecchio che in Non ho sonno.
Hai rimesso insieme Dionisi e la Caselli...
Sono stati bravi nella scena d’amore, naturali,
si vedeva che erano stati in confidenza.
Ma non l’ho fatto apposta. Se l’avessi saputo
prima forse non li avrei riuniti sul set.
E l’idea dei nani?
Volevo rappresentare una difformità fisica,
emarginante, un’atmosfera di ambiguità anche
sessuale dei nani nel rapporto con i ragazzi.
Il nano poi è sempre un capro espiatorio.
E’ un film sull’essere fuori posto, non ti
sembra?
Lo sradicamento è un aspetto spesso presente
nei miei film. Il commissario Moretti accusa
palesi cali di memoria, Giacomo è disoccupato,
Leone un barbone…
Per finire, quali tra i film in circolazione
ti hanno impressionato? E quelli americani?
Gli americani ormai girano solamente inutili
parodie di se stessi. Zemeckis, Spielberg?
Meglio tacere. Mi sono piaciuti invece “Fiumi
di porpora” e “Dancer in the dark”.
Yahoo! Italia Notizie, 5/1/2001
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