Chi ha ucciso Lucarelli?
Romanzo Totale organizzato da Officine Wort e Carlo Lucarelli.net in collaborazione con Bacchilega Editore
Epilogo Criminale (Capitolo 09) dei Kai Zen
La pioggia a un funerale è sempre melodrammatica.
Se ne sta in disparte, lontano da occhi che
nonostante il tempo potrebbero riconoscerlo.
Canton l'ha stupito. Farsi seppellire al
cimitero degli stranieri, degli atei... un
colpo di teatro davvero di gran classe per
un uomo che sembrava tutto tranne che creativo.
L'ictus che l'ha stroncato si è ridotto a
una semplice nota informativa. Un foglietto
volante tra il vortice di carta che scompiglia
forsennato la sua scrivania ogni giorno.
Niente e-mail, niente sms, niente tecnologia.
Solo carta, un enorme archivio di carta.
Decenni per esaminarlo e poche ore per distruggerlo,
in caso.
Se ne va prima che la cerimonia sia finita.
Le scarpe scricchiolano dispari sul ghiaino
bagnato. La zoppia si è accentuata negli
ultimi tempi. Le dita che stringono il manico
dell'ombrello sono segnate dall'artrite,
non sente più indice e medio.
In strada lo attende la berlina grigia. Si
osserva riflesso nel finestrino. Un vecchio,
ormai. Ora di cedere il testimone. Deve solo
terminare di valutare i candidati possibili.
Tastare il terreno. Nessuno di loro sembra
persona pronta ad accettare l'incarico. Come
lo è stato lui a suo tempo, quando il Vecchio
gli ha ceduto il testimone. Le labbra dovrebbero
incresparsi in un sorriso. Non lo fanno.
Non c'è nulla da sorridere. Canton gli mancherà.
L'ha seguito nella sua carriera, l'ha seguito
come una nota a margine, un post-it. Una
carriera insignificante sulla scacchiera
del gioco importante. Un diversivo, una debolezza.
Ma anche un modo per mantenersi ancorato
alla realtà. Si fa presto a scivolare nel
limbo grigiastro che si cela dietro le quinte.
Il complotto complotta contro di te. Sempre.
Roma scorre fredda oltre il vetro fumè. L'autista
è vestito a lutto, anche se non ha messo
piede nel cimitero. Scialoja si massaggia
la coscia. Il dolore si acuisce quando il
tempo volge al peggio. Si concede ancora
un minuto di malinconia in ricordo dell'amico
poi consulta l'agenda. L'ordine del giorno.
Tra i vari appunti c'è la questione della
morte dello scrittore di gialli da risolvere.
Un altro tassello del quadro generale.
L'ascensore che lo porta nel suo studio cigola
e geme. Impermeabile e ombrello gocciolano
sul pavimento di linoleum. Non ci sono specchi.
Come non ce ne sono all'interno dell'appartamento
anonimo in cui trascorre ormai tutto il tempo,
scandito da un'insonnia feroce. L'arredamento
è identico a quello che ha lasciato il suo
predecessore. Anche il telefono, grigio antracite,
è rimasto lo stesso. Non funziona più ma
è ancora lì, al fianco di un apparecchio
più moderno. Attacca il trench all'appendiabiti,
si siede. Un sospiro, un massaggio blando
alle tempie, poi chiama.
"Hanno fatto progressi?"
La voce dall'altro capo è squillante, un
accento bolognese appena accennato. "Hanno
chiuso il caso."
Scialoja, riprova a increspare le labbra.
Non succede nulla. "Bene. Fategli avere
le prove."
"Ma così..."
"Il suo lavoro non è discutere."
"Eseguirò."
"Mi tenga aggiornato sugli sviluppi.
Voglio sapere come reagiranno e cosa faranno.
Poi si consideri sospeso dal servizio."
"..."
"Non chieda spiegazioni. Faccia come
le è stato detto." Riaggancia. Quell'ultima
frase non l'avrebbe mai pronunciata prima,
avrebbe semplicemente tolto l'operatività
all'uomo di Bologna, senza dire nulla. È
il segnale che deve cedere il testimone.
Un paio di faccende da sistemare e poi basta.
C'è bisogno di qualcuno più giovane, brillante
e pronto. Già ma pronto a cosa? Per cosa
ha lavorato negli ultimi trent'anni? Per
chi? Per lo stato? Lo stato... Lo stato non
esiste. Ha smesso di crederci molto tempo
fa. Eppure per fare quello che fa, che ha
fatto, ci vuole convinzione. No, di più:
ci vuole fede. E la fede non si può spiegare.
La sua fede è una fede nell'equilibrio. L'Italia
è un paese in bilico. Un equilibrista sull'abisso
della storia e come ogni bravo equilibrista
fa credere al pubblico di non essere in pericolo.
Per poterlo fare ha bisogno di persone come
lui. Persone in grado di tendere la corda
e mantenerla tesa senza esitazioni e in ogni
circostanza. L'equilibrio non è una questione
ideologica o politica. L'equilibrio sfiora
la metafisica. Eppure con la metafisica non
si regge nessuna corda. L'azione è l'unica
via. L'anztizen è la soluzione.
Lucarelli. Un ingranaggio del sistema, un
ingranaggio che ruota al contrario. Come
molti altri. Osservando la macchina da un'altra
prospettiva però ci si accorge che per funzionare
a dovere deve avere rotelle che si muovono
in entrambe le direzioni.
Fornire le prove del fatto che tutta l'indagine
sia andata fuori pista e che le conclusioni
siano del tutto sbagliate è contribuire all'equilibrio,
è far ondeggiare il cavo. Non per far cadere
l'equilibrista ma per evitare che cada dall'altra
parte. Lasciare il pubblico senza fiato per
un istante solo per farlo sospirare di sollievo
un attimo dopo. Fa tutto parte dello spettacolo,
della macchina.
Prende dal cassetto le foto degli sbirri
al lavoro sul caso Lucarelli. Le sfoglia
e le mescola come fossero figurine. Uno di
loro è il candidato inconsapevole alla sua
sostituzione. Nessuno lo riterrebbe adatto,
ma non lui. Sa che non accetterà mai, come
il vecchio sapeva che lui non avrebbe accettato
il compito. Eppure da decenni è lì, chiuso
in quell'ufficio polveroso, inchiodato alla
scrivania, celato allo sguardo del mondo
a lottare con la forza di gravità che trascina
l'equilibrista verso il baratro.