Chi ha ucciso Lucarelli?
Romanzo Totale organizzato da Officine Wort e Carlo Lucarelli.net in collaborazione con Bacchilega Editore
Capitolo 06 di Antonino Fazio
— Che cosa sta succedendo, qui? — chiede
la giornalista, precipitandosi dentro la
casa.
De Luca e Coliandro, abbarbicati l'uno all'altro,
si voltano a guardarla.
— Succedendo? Niente, perché? — dicono, parlando
all'unisono.
— Niente, eh? Non era un colpo di pistola
quello che ho sentito? Che cosa state combinando,
si può sapere? E non pensate di potermi prendere
per il culo.
— Ma no, niente — ripete De Luca. — Stavo
solo facendo vedere la pistola a Coliandro,
qui, e mi è partito un colpo.
— Proprio così — conferma Coliandro. — Il
commissario non ci sta con la t... è un po'
distratto, dicevo, e ha dimenticato che c'era
il colpo in canna. Ma, a proposito, che cosa
ci fai qui? Non eravamo d'accordo che tu
te ne stavi buona e io ti tenevo al corrente
di tutti gli sviluppi del caso?
— E tu pensavi che io me la fossi bevuta,
agente?
— Ma allora sei dura. Ispettore, mi devi
chiamare! O, almeno, sovrintendente.
— Tu a me non mi fotti, è chiaro?
— E neanche ci tengo — precisa Coliandro,
perfido.
— Lascia fare a me — interviene De Luca.
— Vieni, cara.
Si porta la telecronista da parte e comincia
a parlarle fittamente, a bassa voce. Coliandro
non riesce a sentire nemmeno una parola.
Dopo un po' la ragazza fa un cenno di assenso
con la testa, stringe la mano del commissario
e se ne va via, tranquilla. Coliandro è sbigottito.
— Ma che minchia le hai detto?
De Luca fa un gesto di noncuranza.
— Niente. Le ho detto che, se lei se ne sta
buona, io le passo tutte le notizie di rilievo.
— Ma è la stessa cosa che le avevo detto
io! — protesta Coliandro.
De Luca lo guarda con commiserazione.
— Certo. Ma vuoi mettere la tua credibilità
con la mia? Piuttosto, senti, è inutile che
meni il can per l'aia. Ormai l'ho capito
che hai letto quella roba.
— Che roba?
— E basta, Coliandro! Le bozze scritte da
Lucarelli, no? Quelle dove c'è scritto che
starei diventando pazzo.
— Ah, quelle...
— Appunto. Cosa ti sei messo in testa, dì?
Che sono davvero impazzito? Che sono in preda
all'Alzheimer?
Coliandro evita il suo sguardo febbrile.
— Beh...
— Impazzito una beata minchia, Coliandro,
come diresti tu! — sbotta De Luca. — Ma poi,
perché avrei dovuto ammazzare Lucarelli?
Sentiamo. Perché tu mi sospetti del delitto,
no?
— Cerca di capire, De Luca. Un poliziotto
è un poliziotto. Non può fare a meno di sospettare.
— Vieni al dunque.
— Voglio dire, forse non ti andava la sorte
che Lucarelli ti aveva riservato nel romanzo
che stava scrivendo. E così...
— E quindi lo avrei ammazzato per impedirgli
di terminarlo, vuoi dire?
— Sì, più o meno.
Il commissario emette un lungo sospiro, poi
avvicina una sedia e ci si mette sopra.
— Rifletti, Coliandro — dice con voce ragionevole.
— Se ho fatto fuori Lucarelli per evitare
di diventare pazzo, perché allora mi sospetti
di essere pazzo?
Coliandro si sente girare la testa, e non
solo per via del whiskey che ha bevuto.
— Mah, non saprei. Che ne dici del senso
di colpa?
Il tentativo non è male, ma De Luca gli lancia
un'altra occhiata di commiserazione, la seconda
in pochi minuti.
— Sii serio, Coliandro. Per quanto ti è possibile,
s'intende. In quelle bozze pure tu e Grazia
fate una brutta fine. Perché dovrei essere
proprio io il colpevole? Credimi, non c'entro
niente con la morte del nostro Autore.
— E allora chi è stato?
— Non lo so.
— A proposito, come li hai avuti quei fogli?
— Qualcuno me li ha spediti in ufficio.
— Chi?
— Non fare domande, per favore. Al momento,
brancolo nel buio.
— Io, invece, forse un'idea ce l'avrei —
azzarda Coliandro.
— Tu? Possibile? E quale sarebbe quest'idea?
— Semplice. Mi sono chiesto una cosa.
— Cioè?
— Chi ce l'ha detto che Lucarelli era stato
avvelenato con la tetradotossina?
— Chi? Il Capo, naturalmente. E ti rammento
che ci aveva pure raccomandato di non dirlo
in giro.
— Infatti. Ma il punto è un altro.
— Cioè?
— E a lui chi minchia l'ha detto?
Ricchiuti guida come un pazzo, forse perché
un tantino fuori di testa lo è davvero, con
rispetto parlando. Ma Gargiulo guida peggio
di lui, cioè meglio. Per forza, ha fatto
tanta pratica portando in giro quell'altro
mentecatto di Coliandro!
Gargiulo ci dà dentro, raggiunge la macchina
del maresciallo, l'affianca, la supera. Poi
si piazza davanti e costringe Ricchiuti a
fermarsi. Scende di corsa, si avvicina allo
sportello. Il maresciallo lo fissa con gli
occhi sbarrati. Entrambi sbarrati. Poi quello
di sinistra parte nel solito tic.
— Che minchia fate, agente, siete impazzito?
Con rispetto parlando, s'intende.
— Non sono impazzito. Voglio quei fogli.
— Quali fogli?
— Quelli che ha portato via dalla scrivania
del commissario De Luca, maresciallo.
L'occhio ballerino del carabiniere si blocca.
— Ah, quelli.
— Sì, quelli. Me li deve dare.
— Mi dispiace, ma non posso.
— Come sarebbe che non può?
— Non posso. Ho ricevuto ordini diretti dal
Capo.
— Di non darmeli?
— Di portarli a lui.
— Davvero? Beh, anch'io ho ricevuto direttamente
dal Capo l'ordine di portargli quelle carte.
— Ma a me l'ha chiesto prima.
— Davvero? E a me l'ha chiesto dopo, ed è
l'ultimo ordine che vale.
L'occhio sinistro del maresciallo ricomincia
a sfarfallare.
— Il Capo ha bisogno di gente fidata. E chi
è più fidato di un carabiniere? Gli porterò
io quei fogli, e non voglio sentire altre
minchiate. Con rispetto parlando, s'intende.
— Maresciallo — fa una voce, da dietro la
testa di Ricchiuti. Lui si volta con un sobbalzo.
— Eh?
È la Negro. Li ha visti fermi ed ha rallentato,
si è fermata anche lei, a una certa distanza,
e poi si è avvicinata di soppiatto.
— Maresciallo, non le dispiace se prendo
io questi fogli, vero?
Apre la portiera e prende le carte che sono
rimaste appoggiate sul sedile. Ricchiuti
accenna a una protesta.
— Ma io...
— Niente ma. Non vorrà mica che l'arrestiamo
per sottrazione di prove, vero?
— Ma, ispettrice...
— Niente ma, ho detto — ribadisce lei, dura.
— E non mi chiami "ispettrice".
È da maschilisti. Sono un ispettore.
— Come Coliandro? — fa Ricchiuti.
— Stia attento a quel che dice — lo ammonisce
Gargiulo. — Vuole farsi sparare?
Il maresciallo s'imparpaglia, balbetta qualcosa,
poi rinuncia. Quei due rompicoglioni l'hanno
fottuto, con rispetto parlando. Un poliziotto
non vale un carabiniere, pensa lui, ma loro
sono in due, appunto, e lui è da solo. Si
rifarà un'altra volta. Ora gli conviene filarsela.
— Se mi permettete, ho degli affari urgenti
da sbrigare. Arrivederci.
Parte in quarta. Gargiulo e la Negro fanno
un salto all'indietro, per non farsi trascinare
via.
— Sei stata grande — dice Gargiulo. — Adesso,
se mi dai quei fogli, li porto al Capo.
Grazia non gli dà retta. Sta leggendo le
carte che ha in mano, ed è impallidita visibilmente.
— Che c'è? — chiede Gargiulo.
Lei gli porge i fogli, senza dire altro.
Lui comincia a leggere, impallidisce a sua
volta. Poi solleva lo sguardo dai fogli,
perplesso.
— Che significa questa roba?
— Non è chiaro? "I PERSONAGGI NON SOPRAVVIVERANNO
ALL'AUTORE." C'è scritto così, no?
— Sì, ma...
— Non so se ci sei anche tu, ma a quanto
pare Lucarelli, nel suo ultimo romanzo, stava
facendo fare una brutta fine a tutti i suoi
personaggi, perché non gli sopravvivessero.
Il che significa... per l'inferno, significa
che lui sapeva che lo avrebbero ammazzato.
Oppure...
— Oppure?
— Oppure meditava di suicidarsi.
— Suicidarsi? E perché?
— E che ne so? Forse era in crisi depressiva,
o magari era malato. Però, mi viene un dubbio.
Riprende in mano le carte, confronta la prima
pagina con l'ultima, le uniche due scritte
a mano.
— Come pensavo, la scrittura non corrisponde.
La frase finale non è di Lucarelli. E questo
vuol dire...
Gargiulo la guarda, confuso.
— Cosa vuol dire?
— Che siamo tutti in pericolo! — conclude
lei, in tono drammatico.
Il taxi si ferma davanti alla questura. De
Luca scende per primo, e Coliandro è costretto
a pagare l'autista. Venticinque euro, minchia!
— Aspettami, De Luca — urla dietro al commissario.
Lo raggiunge davanti alla porta del Capo,
ma solo perché De Luca si è fermato, esitante.
Il Capo metterebbe in soggezione chiunque.
— Allora che facciamo? — domanda Coliandro.
Per tutta risposta il commissario dà una
bussata, poi entra con decisione. Il Capo
è di spalle, in piedi davanti alla finestra.
— Buongiorno, commissario.
De Luca sobbalza. Coliandro fa un sorrisetto.
— Buongiorno anche a te, Coliandro.
Coliandro fa una smorfia d'ammirazione. Allora
è vero quello che dicono del Capo, che ha
gli occhi anche dietro la nuca.
— Buongiorno, Capo. Le dobbiamo chiedere
una cosa importante.
Il Capo si volta. I suoi occhi di ghiaccio
si fissano prima su quelli del commissario,
e dopo su quelli di Coliandro. Tace.
— Ecco — De Luca è in difficoltà. Ora che
è lì, i dubbi di Coliandro gli sembrano privi
di senso. Non doveva farsi trascinare da
quell'idiota. Rischia di fare una figuraccia.
Si fa forza e riparte: — Volevamo chiederle...
Si blocca di nuovo. Coliandro sbuffa.
— Il commissario ed io vogliamo chiederle
da chi ha saputo che Lucarelli è stato avvelenato
con la tetradotossina.
Il Capo li fissa ancora entrambi.
— Tutto qui?
Coliandro si volta verso De Luca, poi annuisce.
— Beh, sì.
Il Capo si gira di nuovo verso la finestra,
voltando le spalle ai due poliziotti. Coliandro
pensa che non ha nessuna intenzione di rispondere.
De Luca abbassa la testa, come a dire che
lui lo sapeva. Stanno facendo una figura
di merda. Poi il Capo parla, a bassa voce,
ma con chiarezza.
— Una telefonata anonima. Presumibilmente
dell'assassino.
— Sì — dice Coliandro, disinvolto. — Io me
l'ero immaginato. Che ti dicevo, De Luca?
L'altro lo ignora.
— È strano, però, che l'assassino abbia fornito
questa informazione, dopo essersi preso la
briga di usare un veleno difficile da individuare.
Il Capo si volta a guardarlo.
— Infatti. È anche per questo motivo, oltre
che per facilitare le indagini, che avevo
deciso di non divulgare la notizia — e lancia
un'occhiata significativa a Coliandro. —
Ma non è tutto. Il medico legale che ha eseguito
l'autopsia su Lucarelli è stato trovato morto,
per cause non ancora precisate.
— Minchia! — esclama Coliandro. — Non è che
toccare quel cadavere porti sfiga?
Il Capo fa finta di non averlo sentito.
— E, dal referto autoptico, lo scrittore
risulta deceduto per cause naturali.
Gelsomino è a casa. Sta ascoltando un brano
di musica classica. Forse è il Rondò Capriccioso
di Mendelssohn, o magari è il Rondò K 511
di Mozart. Siccome ha le cuffie sulle orecchie,
non si sente nulla, perciò non sappiamo che
cazzo stia ascoltando, in realtà.
D'altra parte, siccome ha le cuffie sulle
orecchie, nemmeno lui sente nulla, a parte
la musica. Così non si accorge che qualcuno
gli è entrato in casa e gli si sta avvicinando
alle spalle. Ignaro del pericolo, il ragazzo
si crogiola nel suo bagno sonoro fatto di
note. A modo suo sta festeggiando. Festeggia
il suo imminente avanzamento di carriera.
Perché è evidente che, morto l'anonimo medico
legale, il suo posto non può che essere assegnato
a lui, che è un tipo decisamente più brillante
e più giovane. E poi, vivaddio, lui un nome
ce l'ha!
Nella soggettiva dell'intruso, la nuca di
Gelsomino si avvicina sempre di più, con
una lentezza alla Hitchcock. Adesso è in
primo piano. Si vedono due mani che tengono
un sacchetto di plastica trasparente. Il
sacchetto viene infilato sopra la testa del
ragazzo. Lui cerca di divincolarsi, in preda
al panico, ma le sue esili braccia vengono
bloccate contro il suo torace dalla stretta
dell'assassino. Dopo un po' Gelsomino smette
di divincolarsi, e infine si affloscia come
un pupazzo di stoffa.
L'assassino aspetta ancora un minuto, per
sicurezza. Poi, con calma, sfila il sacchetto
dalla testa di Gelsomino. La testa ricade
in avanti, appesa al collo ormai molle. L'assassino
si tira indietro, e scompare rapidamente
dal campo visivo. In primo piano rimane la
parte alta delle spalle del cadavere, con
la schiena appoggiata alla sedia. Le cuffie,
ancora serrate contro le orecchie, continuano
a trasmettere imperterrite una musica che
nessuno sente più, ormai. O forse, invece,
la musica sta accompagnando Gelsomino nel
suo ultimo viaggio.