Chi ha ucciso Lucarelli?
Romanzo Totale organizzato da Officine Wort e Carlo Lucarelli.net in collaborazione con Bacchilega Editore
Capitolo 04 di Vanes Ferlini
Il maresciallo Ricchiuti ripone la pistola
nella fondina con un sorrisetto compiaciuto.
Non la usava da parecchio e darla in testa
a un delinquente gli procura sempre soddisfazione.
Non è proprio quello che insegnano alla scuola
sottufficiali ma dopo vent'anni nell'Arma
l'istinto di sopravvivenza ha la meglio sulle
procedure di servizio.
- Vediamo che faccia hai, brutto delinquente
- lo rovescia e gli scappa un'esclamazione:
- Coliandro? Ma che adesso fate lo scassinatore?
Rimane basito, inginocchiato di fianco al
corpo. Abbattere un sovrintendente di polizia
non è il massimo per un carabiniere.
- Non vi avevo riconosciuto, eravate di spalle...
a scassinare la scrivania.
Il maresciallo ha l'abitudine di pensare
a voce alta, quando è preoccupato. Udire
i propri pensieri lo tranquillizza. Continua
come se Coliandro potesse udirlo:
- Quando hanno chiamato per segnalare un
movimento sospetto, non mi aspettavo certo
di trovare voi in casa del commissario. Mica
posso immaginare che vi rubate tra di voi.
Cercando invano di controllare il tic all'occhio,
solleva il corpo come si prende in braccio
un bambino, lo porta in salotto e lo deposita
sul divano con estrema delicatezza.
- Il polso è regolare, per fortuna non ho
picchiato troppo forte. E adesso che faccio?
Si mette a sedere sulla poltrona.
- Stava cercando qualcosa... qualcosa di
importante, altrimenti non avrebbe fatto
questa cazzata, in pieno giorno poi - quindi
a voce più alta, rivolto al divano: - Certo
che siete proprio un coglione, con tutto
il rispetto s'intende... ma perché devo andarci
di mezzo proprio io?
Ripresosi dallo sconcerto, ritorna nello
studio. Il cassetto della scrivania è rimasto
aperto a metà.
- E questa che roba è?
Afferra le carte e le scorre velocemente.
Le prime pagine sono stampate al computer,
quelle sotto invece scritte a mano con calligrafia
illeggibile.
La sua cultura letteraria è limitata ai Gialli
Mondadori ma gli pare chiaro che si tratta
di appunti per un romanzo. Il primo foglio
porta nell'intestazione il nome dello scrittore
ammazzato; a centro pagina un elenco di nomi.
- Per la miseria, questo dev'essere il romanzo
che stava scrivendo quando l'hanno fatto
fuori.
Con l'occhio buono legge qualche frase saltando
da un foglio all'altro, attirato dai nomi
che incontra.
"De Luca non si rende conto dello stadio
della malattia... stroncato dal morbo di
Alzheimer nel fiore degli anni".
"L'ispettrice Negro sequestrata e seviziata
dall'ex-amante".
"Coliandro ferito nel corso di un'operazione
antidroga... spirato dopo poche ore per una
trasfusione sbagliata".
- Che guazzabuglio è mai questo?
Ricchiuti è convinto che da qualche parte,
in quel malloppo di note, appunti e nomi,
deve nascondersi la chiave di tutta la faccenda.
Il che spiegherebbe perché il materiale si
trova nella scrivania di De Luca anziché
in quella del fu scrittore.
Un flash-back gli esplode nella mente; le
parole di De Luca: "Chissà cosa avrebbe
potuto fare..." riferite alla vittima.
Fissa le carte e mormora:
- Ecco quello che avrebbe potuto fare anzi,
che stava già facendo. De Luca e la Negro
giocano sporco, hanno cercato di depistarmi.
Allora da quale parte stanno? Oppure... -
gli balena una possibilità così assurda da
sembrare quasi vera.
Continua a sfogliare e nell'ultima pagina
trova una scritta a caratteri maiuscoli ben
chiari:
"I PERSONAGGI NON SOPRAVVIVERANNO ALL'AUTORE".
Gli suscita una profonda inquietudine. Con
le mani non troppo salde ritorna alla prima
pagina. Scorre l'elenco dei nomi e tira un
sospiro di sollievo non trovandovi il suo.
Dal salotto proviene un gemito. Deve pensare
in fretta, anche se non è la sua specialità.
I fogli gli bruciano in mano: un'occasione
così non gli capiterà più. Del resto quel
materiale non appartiene neppure a De Luca.
Un altro lamento, più forte.
Spalanca la finestra, prende il cellulare
e chiama la questura. Si fa passare De Luca:
- Sono il maresciallo Ricchiuti. Le consiglierei
di venire subito a casa, c'è stata una effrazione".
* * *
Il ticchettio della macchina da scrivere
risuona nell'ufficio.
Il medico legale è curvo sulla vecchia Olivetti
Lettera 32 che gli è stata fedele (assai
più della moglie) nei trentaquattro anni
di professione. Ha sempre rifiutato le macchine
elettriche prima e il computer poi.
Nel battere le ultime righe non può fare
a meno di sogghignare: questo caso finalmente
lo porterà al centro dell'attenzione.
"Adesso tutti sapranno chi sono io,
chi è il dottor..." viene interrotto
dall'arrivo di Gelsomino. Indossa i guanti
chirurgici e con fare timido domanda:
- Scusi, posso chiederle una consulenza?
- Certo, ragazzo mio. Ho giusto finito.
Tutto soddisfatto estrae il foglio dalla
macchina, ci spiaccica sopra il timbro a
olio come fosse un sigillo regale e lo firma
facendo bene attenzione che il nome sia leggibile.
Lo ripone nel cassetto della scrivania mormorando
tra sé:
- Voglio proprio vedere le facce che faranno
in Questura. Allora, cosa volevi dirmi, ragazzo
mio?
Gelsomino non risponde. Lo afferra per il
camice, lo costringe ad alzarsi, gli torce
le braccia dietro la schiena e lo atterra
in modo brutale. Tra la sorpresa e il dolore,
il dottore non ha modo di reagire.
Con mosse rapide e sicure gli lega polsi
e caviglie usando lacci di seta, per non
lasciare il segno. Poi lo rialza di peso
e lo scaraventa sulla sedia.
Nella mente del medico balena solo lo sconcerto
di essere tradito dal suo pupillo.
Gelsomino esce dalla stanza; rientra un attimo
dopo con una gabbietta per animali.
- Da bravo, Socrate, vieni fuori.
Apre il portellino e il persiano dagli occhi
azzurri di ghiaccio e il pelo candido di
morte mette fuori il muso, dà un'occhiata
in giro, quindi trotterella difilato verso
il medico e gli salta sulle ginocchia.
- Porta via questa bestiaccia!
- Si chiama Socrate.
- Portalo via, sono allergico ai gatti e
lo sai!
- Per la precisione si tratta di una grave
forma di sindrome felina, con complicazioni
asmatiche acute.
- Vattene, bestiaccia!
Si contorce sulla sedia e urla ma il micio,
che per tara genetica della propria razza
è sordo, continua a strusciarglisi addosso.
- Aiuto! Aiuto! Aiu...to...
Il terzo grido gli rimane strozzato in gola,
il respiro si fa pesante, viene colto da
una raffica di starnuti.
Gelsomino guarda l'orologio: dovrebbero bastare
venti minuti, giusto il tempo per scrivere
il nuovo referto. Al sabato pomeriggio nel
seminterrato non c'è nessuno, a parte i morti
s'intende, ma desidera comunque sbrigarsi
in fretta: nessun piano è perfetto.
Nel tentativo di divincolarsi il dottore
è caduto dalla sedia così il gatto amorevole,
e anche un po' bastardo, gli sfrega sulla
faccia prima il muso poi la coda, avanti
e indietro, indietro e avanti, senza pietà.
Deve respirare a bocca spalancata:
- Per carità, Gelsomino... ti prego... -
le parole escono a fatica, gli sembra di
gridare ma sono appena un sussurro -... il
mio spray... il broncodilatatore... nel cassetto...
-
Il ragazzo, indifferente, continua a battere
sulla Olivetti Lettera 32. Ha imparato il
testo a memoria, per non lasciare alcuna
traccia. Segue la stessa impaginatura usata
dal dottore. Dopo aver letto decine di referti
conosce bene lo schema.
Il respiro del dottore è divenuto un rantolo
sordo. Mentre Gelsomino scrive l'ultima pagina,
il rantolo si affievolisce. Mentre appone
il timbro a olio, cessa.
Contraffare la firma non è difficile, si
è esercitato a lungo e il risultato è a prova
di perizia calligrafica, o quasi.
Il micio è accovacciato a fianco del corpo.
- Bravo Socrate, hai fatto il tuo dovere.
Libera le mani dai lacci e vi fa scorrere
ogni foglio affinché vi rimangano le impronte
digitali. La stessa operazione per entrambe
le mani, a scanso di equivoci. Apre il cassetto
e sostituisce il referto originale con quello
fasullo.
Per andare nel bagno attiguo deve scavalcare
cadavere e gatto. Straccia l'originale con
cura meticolosa e getta i pezzetti nel W.C.
Osservando i coriandoli roteare, inghiottiti
dall'acqua, ghigna:
- Ciao, dottore. Peccato che il pubblico
non abbia nemmeno saputo il tuo nome.
* * *
Ricchiuti afferra il malloppo di carte e
lo nasconde sotto la giacca della divisa,
cercando di distribuirlo perché non si noti
il rigonfiamento.
In salotto, Coliandro è a sedere sul divano
e si tiene la testa tra le mani. Ha la sabbia
negli occhi e il cuore che gli pulsa dentro
il cervello. Alza lo sguardo ebete sul maresciallo
che gli si mette di fronte:
- Bella botta, eh?
- Cosa è successo?
- Un vicino ha chiamato segnalando movimenti
sospetti attorno alla villetta del commissario.
Quando sono arrivato, un tizio usciva dalla
finestra dello studio. Ha girato l'angolo,
è salito sulla moto del complice... e addio.
Non sono nemmeno riuscito a prendere la targa.
Allora ho scavalcato il davanzale e vi ho
trovato bello disteso.
Coliandro realizza la situazione:
- Ti sei lasciato scappare l'assassino, minchia!
- Ma quale assassino, era solo un topo d'appartamento.
- E le carte?
Ricchiuti assume un'espressione da angioletto:
- Quali carte?
Coliandro si precipita nell'altra stanza.
Sradica il cassetto vuoto dalla scrivania:
- Merda! Merda!
Il maresciallo si affaccia nello studio con
l'aria da faina:
- Avete perso qualcosa?
Con il cassetto ancora in mano, il primo
pensiero di Coliandro è non immischiare il
maresciallo.
- Il mio orologio d'oro, me l'hanno fottuto
- mostra il polso nudo ma solo perché l'orologio
se l'è scordato a casa, sul comodino.
Si ode una sirena della polizia avvicinarsi.
L'istinto suggerisce a Coliandro di saltare
la finestra ma con quello stronzo del maresciallo...
Rimette a posto il cassetto in modo maldestro,
accompagnandolo con imprecazioni assortite.
Si dirige poi al mobile bar in cerca di qualcosa
di forte.
La sirena si è fermata davanti alla villetta.
Cinque secondi e De Luca irrompe nello studio.
Senza proferire parola si precipita alla
scrivania.
"Adesso sono cazzi" pensa Coliandro
versandosi un bicchierone di whiskey.
Vedendo il cassetto vuoto, il commissario
non può dissimulare la rabbia. Con la mandibola
contratta e le labbra serrate osserva prima
Coliandro, che beve a garganella fingendo
indifferenza, poi il maresciallo, impalato
vicino alla finestra aperta.
- Vi hanno rubato qualcosa, signor commissario?
- domanda Ricchiuti con l'aria da furetto.
- Cosa è successo? - sibila De Luca.
Mentre il maresciallo racconta la sua personalissima
versione dei fatti, Coliandro prova a escogitare
una fuga strategica. In quel mentre però
compare un agente, l'autista del commissario.
Si piazza proprio sulla soglia dello studio.
- Per scrivere il verbale devo sapere cosa
hanno portato via - insiste Ricchiuti.
- Non credo sia necessario - ribatte De Luca
con un sorriso rassicurante - non c'era niente
di valore e poi sto conducendo indagini delicate
e non voglio espormi. Nessuna denuncia e
niente verbale, intesi?
- Capisco. Allora io vado.
Ricchiuti esce a grandi passi, dando pure
uno spintone all'agente, e intanto pensa:
"Niente di valore, eh? Lasciami leggere
quello che tengo qua sotto e poi te la faccio
vedere io, signor commissario di 'sta minchia...
con tutto il rispetto, s'intende".
- Puoi andare anche tu - ordina De Luca all'agente
- non rientro in questura.
Poi apre la libreria e tira fuori un grosso
volume.
- Che ci mettiamo a leggere i Promessi Sposi?
- sghignazza Coliandro alle prese con il
terzo bicchiere.
Dalla nicchia interna al librone De Luca
estrae la Beretta. Toglie la sicura e gliela
punta contro:
- Adesso noi due facciamo un discorsetto.