Chi ha ucciso Lucarelli?
Romanzo Totale organizzato da Officine Wort e Carlo Lucarelli.net in collaborazione con Bacchilega Editore
Capitolo 02 di Antonino Fazio
Fuori, in strada, il maresciallo continua
a parlare come una macchinetta.
— Sapete una cosa? Non capisco come ha fatto
il dottore a intuire che la vittima è stata
stroncata da questa tetradiossina. Sembra
quasi...
— Tetradotossina — lo corregge De Luca, infastidito.
— Senta, maresciallo...
— Tetradiossina, o quel che è. I pesci ormai
sono così intossicati che a mangiarli si
rischia di fare una brutta fine. Però...
— La tetradotossina è un veleno naturale
— precisa la Negro, pignola. — Non ha niente
a che fare con l'inquinamento.
— Come vuole lei, ispettrice. Rimane il fatto
che il dottore non poteva scoprire alla prima
la presenza del veleno nel corpo della vittima.
Se non fosse inverosimile, direi quasi che
lo sapesse già.
De Luca e la Negro si scambiano una rapida
occhiata. Poi la donna si gira verso Ricchiuti.
— Come dice lei, maresciallo, la cosa è del
tutto inverosimile. Il dottore è un esperto
di cucina giapponese...
— Scusi, come fa a dirlo?
— Non ha visto il suo pranzo? Non ha visto
con che aria famelica guardava quei due vassoi
di sushi?
Il militare annuisce.
— Sì, ha ragione. Sembrava che non mangiasse
da una settimana.
— Appunto. Il dottore conosce bene la cucina
giapponese, dicevo, e dunque non è strano
che abbia studiato a fondo gli effetti di
quel veleno.
— Magari per non restarci secco lui stesso
— aggiunge De Luca.
— Insomma — conclude la Negro, — il dottore
è un vero esperto di cucina giapponese, e
sa certamente tutto di questo veleno tratto
dal Pesce Palla. Ecco perché gli è bastato
dare un'occhiata alla vittima, per capire
subito com'era morta.
Il maresciallo alza le mani, in segno di
resa. Si capisce che l'ispettrice gli è simpatica.
— Va bene, va bene, mi avete convinto. Stabilito
che l'arma del delitto è la tetradio... voglio
dire il veleno del Pesce Palla...
— Maresciallo — interviene De Luca, — forse
è meglio aspettare gli esiti dell'autopsia,
prima di dare per scontato che si tratta
di avvelenamento.
Il tic all'occhio sinistro di Ricchiuti sembra
accentuarsi. Il poveraccio appare un po'
frastornato.
— Scusi, commissario, lo avete detto voi
due, che il dottore è un esperto.
— Veramente, l'ho detto io — precisa la Negro,
— e stavo rispondendo a un suo dubbio. Comunque,
il commissario voleva solo farle notare che
non si devono mai dare le cose per scontate,
prima di avere delle prove conclusive.
— Questo lo so anch'io, ispettrice. Volevo
solo dire che, se la diagnosi del dottore
verrà confermata dall'autopsia, basterà scoprire
chi poteva essere in possesso di quel tipo
di veleno.
— E le sembra così facile? — sbotta De Luca.
— Non ha sentito cosa ha detto l'aiutante
del dottore? Quel veleno si può trovare anche
al mercato nero.
— Io sono convinta che si possa trovare pure
su Internet — rincara la Negro.
— Poco, ma sicuro. Su Internet, ormai, si
possono trovare pure le bombe atomiche. Insomma,
maresciallo, chiunque poteva procurarsi un
po' di quel veleno. Non è quella la strada
da seguire, secondo me.
Ricchiuti annuisce.
— Forse ha ragione, commissario. Allora non
c'è verso, bisogna seguire la solita trafila:
interrogare i testimoni, sentire gli informatori...
-... tracciare un profilo...
Il militare lo guarda di sguincio.
— Un profilo del killer?
— No, della vittima. Insomma, maresciallo,
dobbiamo cercare il movente. Quella è la
strada da seguire. Interrogare tutti quelli
che lo conoscevano. Ha capito?
Il tono di De Luca è imperioso. Il maresciallo
quasi scatta sull'attenti.
— Agli ordini, commissario. Avrà tutta la
mia collaborazione, su questo caso. Dobbiamo
beccare quel farabutto che ha rovinato un
ottimo piatto di lasagne, con quella minchia
di veleno. Con tutto il rispetto, s'intende.
— Facendo fuori, incidentalmente, uno scrittore
famoso — aggiunge De Luca, in tono severo.
Ricchiuti scrolla le spalle.
— Veramente, di quelli ce n'è in abbondanza.
Uno più, uno meno...
— Maresciallo, che va dicendo — lo redarguisce
De Luca. — Quel poveraccio è morto nel fiore
degli anni. Chissà cosa avrebbe potuto fare,
se fosse sopravvissuto.
Per un momento, rimangono tutti e tre in
silenzio, assorti nel pensiero di cosa avrebbe
potuto fare uno scrittore di quel calibro,
se fosse rimasto in vita. Nessuno si azzarda
a formulare una qualsiasi ipotesi.
— Va bene, maresciallo — si scuote De Luca
— Lei parta con la ricerca e l'interrogatorio
dei testimoni. Io e l'ispettrice Negro batteremo
intanto una pista alternativa. Non si deve
lasciare nulla d'intentato, capisce?
— Certo, commissario, certo. Ma di quale
pista sta parlando?
De Luca si avvicina fin quasi a toccarlo.
La sua voce è appena un sussurro.
— Non posso parlargliene adesso, maresciallo.
Lei però sa bene che la vittima andava spesso
a sfruculiare, per così dire, nei segreti
nascosti di questo paese. E lo faceva addirittura
in televisione.
Ricchiuti annuisce, in silenzio. Il tono
da cospiratore del commissario lo ha ammutolito.
— Insomma, maresciallo, forse qui si deve
scoperchiare qualche altarino, per risolvere
questo delitto.
Il militare annuisce ancora, mentre il suo
occhio sinistro fissa l'interlocutore in
modo inquietante. De Luca intuisce, non senza
sorpresa, che è un effetto dovuto a un'improvvisa
pausa nel tic.
— Lei parli con i conoscenti della vittima,
maresciallo. Noi ci occuperemo dei pezzi
grossi. Ha inteso?
Ricchiuti si irrigidisce.
— Agli ordini.
— Teniamoci in contatto — dice ancora il
commissario, e già si sta allontanando, tenendo
la Negro per un braccio, come se avesse paura
che la ragazza gli scappi via.
— Pensi che siamo riusciti a depistarlo?
— chiede, quando pensa di essere fuori dalla
portata delle orecchie fini del maresciallo
Ricchiuti.
Lei scrolla il capo, incerta.
— Può darsi. Certo che, se si mette a parlare
con tutti quelli che sconoscevano la vittima,
ne avrà per un bel pezzo.
De Luca annuisce.
— Lo scopo era proprio quello. Se quel povero
diavolo cercherà di farsi un'idea sulla vittima
mettendo insieme tutto quello che diranno
di lui i suoi conoscenti...
— Per non parlare degli amici.
— Esatto. Ti immagini che quadro potrebbe
venir fuori? Peggio di un Picasso.
Grazia Negro si lascia sfuggire un risolino,
ma è solo un segno di nervosismo.
— Sì, forse siamo riusciti a depistare quel
carabiniere. Però, guarda che è meno stupido
di quel che sembra. Era lì lì per intuire
che il dottore forse era già al corrente
di come è morta la vittima.
De Luca sbuffa, irritato.
— Quella è stata colpa del dottore, che ha
perso una buona occasione per stare zitto.
— Veramente la cazzata l'ha fatta Coliandro.
Non ha resistito alla tentazione di mettersi
in mostra. Dopo che lui ha parlato di avvelenamento,
il dottore deve aver pensato che tanto valeva
sparare il botto, e non farsi rubare la scena.
Il commissario scuote la testa, sconfortato.
— È questo il problema. Troppa gente che
ha solo voglia di fare bella figura. È il
guaio della cultura televisiva. Tutti vogliono
il loro quarto d'ora di celebrità. Quell'imbecille
di Coliandro non è capace di rispettare una
disposizione che sia una. Il Capo ci aveva
raccomandato di non parlare del veleno. Questo
delitto doveva passare per una morte naturale.
Solo così avremmo avuto la possibilità di
indagare sulle piste più scabrose, senza
rischiare di mettere in allarme i pezzi grossi
che sono forse implicati in questa brutta
faccenda. Ma lui no, lui doveva fare la sua
sparata, il coglione.
La Negro si blocca all'improvviso. Tira su
la testa, si guarda attorno, poi fissa il
collega.
— A proposito di Coliadro...
— Cosa?
— Ma dove cazzo è finito, secondo te?
— Che minchia fai, Gargiulo, mi arresti?
A me, che sono un tuo superiore!
Gargiulo evita di guardare in faccia Coliandro.
Si vede che un po' si vergogna.
— Dai, vieni con me. Non ti far trascinare.
Coliandro si gira verso il Capo, con l'intenzione
di metter su una sceneggiata. Ma il Capo
si è dissolto nella nebbia, come uno dei
tanti fantasmi di quel cimitero. A Coliandro
non resta che seguire Gargiulo, che se lo
sta trascinando dietro lungo i vialetti,
come se lui fosse un mulo un tantino riottoso.
Pensare che, una volta sparito l'Autore,
credeva di poter avere la libertà di muoversi
come voleva. È il destino dei personaggi
ben riusciti. Chissà adesso quanti scribacchini
cercheranno di fargli fare quello che vogliono
loro!
— E fai piano, Gargiulo, per la miseria.
Che fretta c'è, si può sapere?
L'altro gli risponde senza voltarsi.
— Non è che ho fretta. È solo che i cimiteri
mi rendono nervoso.
— E dài, Gargiulo, non fare il bambino. I
cimiteri sono i luoghi più sicuri del mondo.
Chi vuoi che ci sia, in un cimitero? Ci sono
solo i morti, qui.
L'altro aumenta ulteriormente l'andatura.
— Non capisci? È proprio questo che mi rende
nervoso.
— Meno male che è giorno — ridacchia Coliandro.
— Se fosse notte, te la faresti addosso come
un poppante.
— Tu sfotti. Ma vorrei vedere te, a stare
qui dentro in piena notte. Scommetto che
te la faresti sotto pure tu, collega.
— Collega? A proposito di colleghi, Gargiulo.
Si può sapere perché cazzo mi hai messo le
manette?
— Veramente, te ne ho messa una sola.
— Spiegami che minchia sta succedendo, Gargiulo.
Forza.
— Aspetta che arriviamo alla macchina, poi
ti dico tutto.
— No, parla adesso. Che cosa ti è preso?
Non avrei mai pensato che ti saresti comportato
come un Giuda, proprio nei miei confronti.
Dopo tutto quello che ho fatto per te.
— Ma che dici? — Gargiulo appare genuinamente
sorpreso. — Tu non hai mai fatto niente per
me, Coliandro. Sono io che ho fatto delle
cose per te, semmai.
— Non sottilizzare, Gargiulo. Tra amici,
non conta chi fa cosa per chi. È tutto uno
scambio, no?
— Appunto, dovrebbe essere uno scambio. Ma,
come dici tu, non stiamo a sottilizzare.
Quello che faccio per te lo faccio sempre
volentieri, lo sai.
— Certo. Anche perché lo fai per imparare
dal maestro, Gargiulo.
Coliandro si aspetta una replica che non
arriva. Gargiulo non vede l'ora di essere
fuori dal cimitero, è evidente. Quando finalmente
varcano il cancello, Coliandro si impunta,
come se fosse davvero un mulo recalcitrante,
rifiutandosi di proseguire.
— Adesso che siamo fuori, toglimi questi
braccialetti, coraggio.
— Aspetta che siamo in macchina — dice l'altro,
testardo. — Non voglio che qualcuno ci veda.
— Pure io preferirei che nessuno mi vedesse
in manette, Gargiulo.
— Stai tranquillo. Ti scambierebbero per
un delinquente. Non penserebbero mica che
sei un poliziotto.
— Grazie tante, Gargiulo. Sei un vero amico,
lo sai?
— Lo so.
— Facevo del sarcasmo, Gargiulo — sbotta
Coliandro. — Ma già, con te il sarcasmo è
del tutto sprecato.
Finalmente raggiungono la macchina di servizio,
un'Alfa un po' scalcagnata. Si infilano dentro,
e Gargiulo fa scattare l'apertura delle manette.
— Allora, collega, raccontami tutta la storia,
adesso — esorta Coliandro, massaggiandosi
il polso indolenzito. — E cerca di non omettere
nulla, mi raccomando. Qualunque dettaglio
potrebbe essere importante.
— Questo è un discorsetto per i testimoni
— gli fa notare l'altro. Ma conosce bene
Coliandro, e non ci fa caso più di tanto.
— Non c'è molto da dire, in realtà. Mi hanno
detto che dovevo arrestarti, e che eri qui
al cimitero. Tutto qua.
— Come sarebbe a dire, tutto qua? E non ti
sei chiesto come mai mi dovevi arrestare,
per la miseria?
— Coliandro, se mi danno un ordine io lo
eseguo. Non potevo fare altro, lo capisci.
Il motivo dovresti saperlo tu. A me hanno
detto solo che era per impedirti di fare
altre cazzate.
Coliandro lo fissa, con l'aria un po' offesa.
— È questo che ti hanno detto, Gargiulo?
L'altro annuisce.
— Sì, è così che mi hanno detto. Adesso raccontami
tutto. Tu a me.
Coliandro ci pensa su un momento. Poi prende
una decisione. Nell'aria si diffonde la musica
adatta alla scena, un misto di tastiere solenni
e archi dissonanti, che la sua mente deve
aver rubato da chissà quale film.
— Va bene, Gargiulo. Io ti racconto tutto.
Tu, però, poi mi dai una mano. D'accordo?
Guarda che potrebbe essere una cosa pericolosa.
Molto pericolosa.
Gargiulo annuisce, con gli occhi che gli
brillano.
— Okay — dice Coliandro. — È una storia sporca,
Gargiulo. Sento puzza di merda, e credo che
il Capo ci sia dentro fino al collo...