Chi ha ucciso Lucarelli?
Romanzo Totale organizzato da Officine Wort e Carlo Lucarelli.net in collaborazione con Bacchilega Editore
Capitolo 01 di Vanes Ferlini
Con passo lieve, come non avesse peso, il
commissario De Luca si affaccia sulla scena
del delitto, osserva i presenti quindi avanza
verso il cadavere tra l'andirivieni degli
agenti della Scientifica.
Si china a scrutare il volto asimmetrico:
il lato destro stampato nella fissità dell'ultimo
momento, quello sinistro contratto in un
ghigno beffardo, persino ridicolo... se non
si trattasse di una salma.
— Ictus. Non c'è dubbio.
L'affermazione lapidaria, per quanto pronunciata
a voce bassa, è sufficiente a rendere De
Luca presente e visibile, facendolo partecipe
di una realtà che non è la sua ma alla quale
ormai non può più sottrarsi.
Un carabiniere gli corre incontro:
— Commissario De Luca, che sorpresa! Mi hanno
avvertito del suo arrivo ma pensavo fosse
uno scherzo... con tutto il rispetto, s'intende.
Si rivolge poi all'angolo più lontano della
stanza:
— Ispettrice Negro, sovrintendente Coliandro...
perdonatemi, non vi ho veduto giungere, sono
mortificato...
Mentre il militare si profonde in scuse,
De Luca continua a studiare il cadavere.
Deve esser stata una morte dolorosa ma per
fortuna l'agonia è stata breve, altrimenti
avrebbe avuto modo di trascinarsi almeno
giù dalla poltroncina, nonostante la paralisi
del lato sinistro.
È proprio uno spettacolo pietoso. Non che
da vivo fosse una gran bellezza, per la verità.
De Luca però gli deve molto, anzi: tutto.
Peccato si fosse messo in testa di scrivere
quel dannato ultimo romanzo. Sarebbero potuti
andare d'amore e d'accordo ancora per molto
tempo, incontrandosi nel limbo della fantasia
circoscritto dal tocco dei polpastrelli sulla
tastiera. Peccato davvero.
De Luca si riscuote e richiama l'attenzione
del carabiniere che nel frattempo ha attaccato
bottone alla Negro:
— Scusi, lei...
— Maresciallo Ricchiuti, comandi.
— Senta maresciallo, mi domandavo una cosa:
dato che si tratta chiaramente di decesso
per cause naturali, come mai è stata messa
in moto tutta questa macchina investigativa?
— Ordini del Capo: eseguire i rilevamenti
prima che la scena venga inquinata, che poi
non si abbia a fare la figura dei minchioni...
cioè, volevo dire: dei dilettanti.
— Capisco. Quando lei dice il Capo si riferisce
proprio a... lui? Insomma, quello che tutti
conosciamo?
— Sì, mi ha chiamato sul cellulare, si figuri.
Pensavo fosse lo scherzo di qualche cornuto,
con tutto il rispetto s'intende. E se posso
azzardare — il maresciallo prosegue con un
filo di voce — non pareva per niente tranquillo...
che poi di scrittori ne muoiono spesso e
non vedo il motivo di tutto questo trambusto,
non aveva neppure vinto il premio Nobel.
— Grazie maresciallo, basta così.
Nel frattempo Coliandro ha preso a girovagare
per la stanza con le mani in tasca e l'espressione
da turista annoiato di fronte a panorami
consueti. Con uno scatto si china sul cadavere
e gli solleva la palpebra sinistra:
— Mi gioco le palle che è stato avvelenato.
L'enfasi quasi teatrale di questa uscita
attira l'attenzione dei presenti. Quelli
della Scientifica interrompono il lavoro,
tutti gli sguardi convergono su di lui.
— Potrei anche dirvi in che modo — prosegue
nel ruolo del prim'attore — ma non voglio
umiliarvi prima dell'esito dell'autopsia.
De Luca si avvicina alla Negro, le sussurra:
— Coglione di un Coliandro. Te l'avevo detto
che non c'era da fidarsi.
— Non potevamo fare diversamente. Male che
vada, lo usiamo come capro espiatorio.
— Non mi piace, Grazia. Non mi piace per
niente.
Il maresciallo, all'apparenza indaffarato
nella catalogazione dei reperti, osserva
quei tre personaggi scaraventati dal limbo
della fantasia a una realtà che non potrà
più essere addomesticata dal tratto di penna
del maestro.
Siete in gamba ma il maresciallo Ricchiuti
non si lascia fottere da nessuno. Con tutto
il rispetto, s'intende.
Il sorrisetto del medico legale rivela tutta
la soddisfazione di trovarsi nel bel mezzo
di un caso epocale, destinato a durare anni
e forse a rimanere irrisolto, con le tivù
che fanno a gara nell'ospitare protagonisti
e comprimari... persino un anonimo medico
legale.
La notorietà della vittima sarebbe di per
sé bastante ma le modalità rendono l'omicidio
più intrigante di quelli che lui ha descritto
nei romanzi.
Gli occhietti grigi e acquosi del dottore
si spostano veloci dal volto imperturbabile
del commissario De Luca, al tic dell'occhio
sinistro del maresciallo, alla fronte lievemente
corrugata della Negro.
Infine il responso:
— Tetradotossina.
— Teta... che? — esclama Ricchiuti.
— Tetradotossina — ripete il medico, soddisfatto
dell'effetto conseguito: il viso del maresciallo
è un punto interrogativo, mentre la Negro
e De Luca hanno assunto un'espressione di
contenuta sorpresa, quanto basta per non
destare sospetti.
— Avvelenato?
— Sì, ispettrice Negro. La tetradotossina
non perdona, è cento volte più potente del
cianuro.
— Scusate — interviene Ricchiuti — ma io
ne so quanto prima.
Il dottore gli indirizza un sorrisetto compassionevole:
— È un veleno contenuto negli organi interni
del Pesce Palla, quello che i giapponesi
chiamano Fugu e considerano una vera prelibatezza.
Deve essere cucinato con cautele particolari:
un milligrammo è più che sufficiente per
uccidere un uomo.
Ricchiuti è sollevato:
— Allora è tutto chiaro: ha ordinato un po'
di schifezze al ristorante giapponese e ci
è rimasto secco.
Il dottore ridacchia:
— No, la sera in cui è morto ha mangiato
solo lasagne alla bolognese. Quattro salti
in padella, per la precisione.
— Ma come? — il maresciallo è scandalizzato
— Lui che poteva permettersi i migliori ristoranti,
si riscaldava i Quattro salti in padella?
Come faccio io?
— Ne doveva essere anche goloso: quella sera
si è sbafato tre porzioni, hanno trovato
le confezioni sul tavolo della cucina.
— Oppure aveva ospiti — interviene la Negro
— anche se...
-... c'era un solo piatto sporco — conclude
De Luca. Poi rivolto al dottore:
— Dove è stato rinvenuto il veleno?
— Nei residui di ragù sul piatto
Il tic all'occhio del maresciallo accelera
all'improvviso:
— Che senso ha? Un veleno giapponese sulle
lasagne alla bolognese... proprio un delitto
della minchia, con tutto il rispetto s'intende.
— L'assassino voleva essere ben sicuro —
replica il medico — non esistono antidoti
per la tetradotossina, anche ammesso che
l'intossicazione venga riconosciuta. Gli
effetti primari sono simili a quelli di un
ictus.
— Questo veleno è persistente oppure l'assassino
poteva sperare di farla franca? — domanda
De Luca.
— Non appartiene alla categoria dei veleni-fantasma
tuttavia è sufficiente una quantità così
infinitesimale che risulta quasi impossibile
da identificare.
— E allora lei come ha fatto? — scatta Ricchiuti.
— Ho i miei metodi — il dottore gli indirizza
un altro sorrisino malizioso, ricevendo in
cambio un'occhiataccia.
— La tetradotossina è facile da reperire?
— domanda la Negro.
— Al contrario: estremamente difficile. Viene
prodotta in alcuni laboratori, in Oriente,
utilizzando il fegato del Pesce Palla.
La risposta, immediata e circostanziata,
fa pensare a Ricchiuti che il medico legale
deve essere un pozzo di scienza. Oppure gatta
ci cova. Sta per aprire bocca quando un vocione
prorompe dal fondo della stanza:
— C'è un altro modo per produrla.
— Ah Gelsomino, vieni avanti che ti presento
i nostri ospiti illustri — il dottore lo
prende sottobraccio: — Questo è il mio assistente:
Gelsomino Gocciadoro, un piccolo mago della
chimica.
— Cosa stavi dicendo? — gli domanda la Negro.
— Esiste un altro modo per ottenere la tetradotossina.
La voce baritonale che esce da quel corpo
mingherlino, con il viso pallido e le labbra
sottili, produce uno strano effetto.
— Ce lo dici subito oppure organizziamo un
gioco a premi? — sbotta Ricchiuti.
Gelsomino non lo guarda neppure, fissandosi
invece su De Luca:
— Un batterio della famiglia Pseudoalteromonas
è in grado di sintetizzare una sostanza identica
al veleno del Pesce Palla: C11H17N3O8, volgarmente
detta tetradotossina.
— In gamba il ragazzo, eh? — il dottore gli
dà una pacca sulla spalla.
— È possibile procurarsi quel batterio? —
domanda De Luca.
— Volendo si trova... al mercato nero.
— C'è un contrabbando anche per queste cose?
— esclama stupefatto il maresciallo.
— Adesso vado, ho da fare.
Gelsomino si allontana rapido, senza salutare.
— È un tipo riservato — lo scusa il dottore
— del resto tutti i geni sono un po' strani.
A me fa venir voglia di prenderlo a schiaffi
pensa Ricchiuti.
La Negro si rivolge di nuovo al dottore:
— Ha trovato qualcos'altro di strano durante
gli accertamenti?
— Nulla degno di nota. Colesterolo un po'
alto e tracce di cocaina, però al di sotto
della media degli altri scrittori che ho
sezionato in questi ultimi due anni. C'è
stata una vera morìa, non vi pare?
De Luca e la Negro fanno finta di guardare
l'orologio, l'occhio sinistro del maresciallo
sembra impazzito.
— In definitiva godeva di ottima salute —
prosegue il medico — ma forse era affetto
da altro genere di depravazioni. Con l'inchiesta
verranno fuori tutte le magagne, capita sempre
così.
— Non le era molto simpatico, vero?
— Cosa vuole, commissario... mi ha usato
una sola volta in un racconto, giusto perché
aveva bisogno di un personaggio di contorno,
uno di cui nessuno deve ricordarsi. Infatti
non mi ha dato neppure un nome. Persino il
mediocre autore di questo capitolo mi definisce
un anonimo medico legale.
— Capisco. Grazie di tutto, se avremo bisogno
torneremo a disturbarla.
In quel momento sopraggiunge il fattorino
del take-away con due vassoi di cartone.
Il dottore si frega le mani:
— Ecco il mio pranzo. Posso offrirvi un po'
di sushi?
— No, grazie — risponde secco il maresciallo
avviandosi alla porta, seguito dagli altri
due.
Mentre il medico si lancia sulle specialità
giapponesi, dalla finestrella del seminterrato
Gelsomino osserva gli investigatori dirigersi
al parcheggio. Compone un numero sulla rubrica
del cellulare. Due squilli, comunicazione
aperta ma nessuna voce dall'altra parte.
— Sono appena andati via, c'erano tutti tranne
Coliandro. Il dottore ha smaronato alla grande,
lo avevo avvertito e minacciato ma lui niente,
ha vuotato il sacco. Non è affidabile, farebbe
qualsiasi cosa per diventare un protagonista.
Dalla parte opposta Gelsomino ode solo il
rumore lieve di un respiro. Prosegue:
— Intercetto il referto dell'autopsia e poi
lo sistemo a dovere.
Chiude senza attendere risposta e si rimette
al lavoro sulla coltura di batteri.
Coliandro aveva immaginato l'ingresso trionfale
in Questura sotto gli sguardi invidiosi di
colleghi e superiori.
Aveva pregustato la rivincita su coloro che
lo avevano sempre ostacolato e messo da parte.
Aveva sognato di coronare la sua aspirazione:
entrare nell'Interpol, al fianco di uomini
veri. Altro che i signorini della Squadra
Mobile.
Invece si ritrova in mezzo a marmi grigi
e croci sparse sul terreno.
Cammina con le mani in tasca e la testa incassata
nel bavero rialzato del giubbotto per difendersi
dalla nebbiolina di fine autunno.
Ha la sensazione fastidiosa di essere osservato:
tutti gli sguardi che trasudano dalle foto
in bianco e nero e lo scricchiolìo della
ghiaia sotto i piedi, come ossa frantumate.
Un fantasma tra i fantasmi, ora che lui non
c'è più. Cerca di convincersi d'avere la
coscienza a posto:
È stato meglio così. Non poteva portare a
termine quel romanzo schifoso.
Una figura famigliare si staglia sulla cima
della collinetta, vicino a una lapide di
granito rosa.
Coliandro accelera il passo, un po' per fingersi
baldanzoso, un po' per darsi coraggio.
— Deve essere una cosa seria, vero Capo?
Se non si poteva parlarne al telefono...
— Ti avevo ordinato di stare zitto, invece
stai urlando ai quattro venti che lo hanno
avvelenato.
— Le indiscrezioni sarebbero comunque trapelate.
— Hanno già montato un caso giornalistico.
— Mica possiamo imbavagliare l'informazione,
le pare?
— Ho pure saputo che ti hanno invitato in
tivù.
— Modestia a parte, sono diventato importante
e sono pure fotoge... — avverte un metallo
gelido al polso e un click famigliare. Si
gira di scatto:
— Gargiulo!
— Scusa, mi hanno obbligato.